5 Aprile 2024

Il movimento LGBTQ+ in Russia è indietro di 30 anni.

Filippo Montemurro

tempo di lettura: 3 min

Image by Melissa from Pixabay
La Russia di Putin sta tornando indietro di 30 anni sul piano dei diritti civili delle persone LGBTQ+ e lo fa esattamente a 30 anni di distanza da quando l’omosessualità ha smesso di essere illegale in Russia, nel 1993, tre anni dopo che l’organizzazione Mondiale della Sanità ha tolto l’omosessualità dalle patologie mentali.

Anche se non è stata dichiarata illegale esplicitamente, il 30 novembre scorso la Corte Suprema della Federazione Russa, la più alta corte di giustizia del Paese, si è riferita al movimento internazionale LGBTQ+ come entità “estremista”.

Sebbene in Russia vi siano leggi penali che regolano l’antidiscriminazione sul luogo di lavoro, nella fornitura di beni e servizi e in tutti gli altri settori, il Governo non ritiene necessaria una legge specifica contro l’omobilesbotransfobia, perchè i diritti delle persone LGBTQ+ sono tutelati così da eventuali discriminazioni. Nella realtà dei fatti, però, dichiararsi pubblicamente parte della comunità LGBTQ+ non è semplice in Russia o, comunque, pericoloso per la propria incolumità.

Basti pensare che, da un sondaggio del 2019 del Russian Lgbtq+ Network, è emerso che almeno una volta nella vita una persona omosessuale ha subìto un’aggressione.

La persecuzione della comunità LGBTQ+ nel Paese va avanti almeno dal 2006. Fino al 2013, infatti, erano 10 le Regioni russe ad aver approvato leggi contro la “propaganda omosessuale” tra i minori.

A livello nazionale, invece, l’avversione nei confronti delle persone LGBTQ+ continua, da quando, su proposta di Yelena Mizulina, la duma ha approvato la Legge contro la propaganda gay, che vieta la diffusione di contenuti sugli omosessuali, transessuali e bisessuali ai minori di 18 anni. L’intento sarebbe quello di combattere una fantomatica tendenza alla pedofilia diffusa nella comunità LGBTQ+. Le multe sono dirette a chi organizza manifestazioni in cui si fa cenno alle “unioni non tradizionali”.

Parallelamente sono, poi, nati gruppi di cittadini vigilantes che intendono punire i presunti pedofili. Tra questi gruppi c’era anche Occupy Pedophilia che, oltre a proporre di punire i pedofili con pene più severe, puniva i presunti pedofili ordinando aggressioni e torture. Il tutto in un clima di completa impunità garantita dalle Autorità.

Finalmente, nel 2014, lo Human Right Watch (HRW), ONG internazionale a difesa dei diritti umani, ha denunciato Occupy Pedophilia, perchè perpetrava indiscriminatamente violenze non nei confronti di pedofili, bensì di persone appartenenti al movimento LGBTQ+ adescate ad hoc.

Come facevano a saperlo?

Era abitudine di questi vigilantes filmare le violenze con lo smartphone. Dei 114 video di violenze e torture esaminati da HRW, è risultato che solo in 3 di questi erano presenti dei veri pedofili. Gli altri erano semplicemente omosessuali in cerca di un rapporto ed ecco spiegata la trappola.

Nel 2017, quindi, la Corte Europea dei Diritti Umani (Corte EDU) ha dichiarato che la legge russa anti propaganada gay viola il diritto alla libertà d'espressione ed è discriminatoria. Nella sentenza, la Corte fa notare come questa abbia <<rinforzato la stigmatizzazione e i pregiudizi e incoraggiato l'omofobia>> e poi ancora <<azioni incompatibili con i valori di eguaglianza, pluralismo e tolleranza di una società democratica>>. I giudici hanno, innanzitutto, <<rigettato la tesi del governo secondo cui la necessità di proteggere la morale giustifica il fatto di regolare il dibattito pubblico sulle questioni Lgbt>>. Il governo russo, quindi, <<non ha dimostrato come la libertà d'espressione sui temi Lgbt svilisca o colpisca negativamente le famiglie tradizionali o possa comprometterne la futura esistenza>>.

A presentare il ricorso presso la corte di Strasburgo ci hanno pensato 3 attivisti russi. Tutti condannati tra il 2009 e il 2012 per la suddetta legge. La Corte di Strasburgo ha convenuto che la Russia ha violato tre articoli della CEDU vietando i Pride nel 2006, 2007 e nel 2008.

La legge sulla propaganda gay del 2013 è stata, però, rafforzata nel 2022 perchè, da allora, vieta la cosiddetta “propaganda omosessuale” a tutte le età, non solo tra i minori. Ciò comporta di fatto l’impossibilità di poter manifestare liberamente il proprio orientamento sessuale o anche solo parlare di omosessuali, bisessuali e transessuali in pubblico.

Il colpo di grazia ai diritti della comunità LGBTQ+ in Russia, però, è stata la sentenza della Corte Suprema russa, che, come accennato all’inizio, ha dichiarato movimento internazionale LGBTQ+ un’entità “estremista”.

Essere una “entità estremista” in Russia è, quindi, un reato penale che comporta gravi pene detentive.

Le reazioni da parte di movimenti e attivisti per i diritti civili è stata comprensibilmente di sdegno.

Ai più attenti non sarà sfuggito che il Cremlino addita come “estremisti” tutte quelle entità che non vanno a genio a Putin. Esistono dei precedenti che lo testimoniano.

Anche i Testimoni di Geova, la cui presenza in Russia è osteggiata dalla Chiesa ortodossa, è considerato un movimento “estremista”. Addirittura Meta, la società madre di Facebook e Instagram, secondo Putin è rea di diffondere la “russofobia”.

Com’è facilmente intuibile, Putin si sta preparando per vincere il suo quinto mandato. Le elezioni del 17 marzo mettono Putin ai vertici del Cremlino per i prossimi sei anni. Non è impensabile, quindi, che Putin punti a rimanere saldo al potere per il resto dei suoi giorni.

A conferma del fatto che per lui solo la sua vita è importante. Come se togliendo la vita a chi si oppone a lui, Putin ricordasse ai russi di non essere solo in Russia, ma nella Sua Russia, la Russia di Putin.


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Filippo Montemurro

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